La comunicazione nella mediazione civile e commerciale

Essendo la mediazione: “L’attività, comunque denominata, svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti sia nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione della controversia, sia nella formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa”.

Capiamo quanto sia importante che il mediatore sia consapevole del messaggio che vuole trasmettere e quanto sia bene capire che cos’è la comunicazione e come funziona.

Innanzitutto la comunicazione è:

“Il processo e le modalità di trasmissione di un'informazione da un individuo a un altro (o da un luogo a un altro), attraverso lo scambio di un messaggio elaborato secondo le regole di un determinato codice.”

A partire dagli anni ’50 l’argomento iniziò a riscuotere sempre più un maggiore interesse, e sono stati teorizzati vari modelli di comunicazione.

Il modello lineare, che rappresenta una delle prime teorizzazioni, afferma che quando due individui entrano in contatto (E=emittente + R=ricevente) si crea un invio di messaggio (M=messaggio o S=stimolo) che parte dall’Emittente e arriva al Ricevente, attraverso un determinato canale comunicativo (C=canale).

In questo modello, dato che il Messaggio non prevede alcuna Risposta/Reazione da parte del Ricevente, non possiamo parlare di vera e propria comunicazione fra i due soggetti, bensì di semplice trasmissione dell’informazione. Nella comunicazione lineare, la corretta trasmissione sembra essere data per scontata e dunque non viene considerata alcuna possibilità di interferenza comunicativa. Inoltre, anche la corretta ricezione viene data come risultato certo. In realtà tale modello è stato ben presto superato e sostituito da altri più completi.

Successivamente al modello lineare si teorizza il modello circolare nel quale viene inserito il concetto di “feedback” inviato dal Ricevente all’Emittente a seguito del messaggio ricevuto e, di conseguenza, viene anche preso in considerazione cosa-quanto-come il Messaggio sia stato decodificato dal Ricevente.

In questo caso dunque, si contempla anche la possibile non comprensione o decodifica, la comprensione o decodifica parziale e la differente comprensione o decodifica da parte del Ricevente rispetto all’intenzione comunicativa dell’Emittente. Dunque si considera anche il concetto di “interferenza alla comunicazione”, che riguarda gli aspetti e le situazioni che possono ostacolare il processo comunicativo fra gli interlocutori.

Il modello ciclico invece è rappresentato da più cicli successivi di comunicazione circolare, in cui di volta in volta, i due soggetti impegnati nell’atto comunicativo si scambiano il ruolo di Emittente e Ricevente.

Uno degli studiosi più attivi in questo campo è stato lo psicologo Paul Watzlawick che, a mio parere, ci fornisce la premessa necessaria alla stesura di questo articolo quando in uno dei suoi assiomi asserisce: “non è possibile non comunicare”. 

La comunicazione non ha luogo soltanto quando è intenzionale, consapevole, efficace, o quando si ha la comprensione reciproca, ma avviene sempre. Per cui anche il fare o il non fare, le parole o il silenzio, il volgere lo sguardo o il non guardare ecc. hanno valore di messaggio

Data tale premessa passiamo ora ad elencare le fasi della mediazione e a capire come in ognuna di esse la comunicazione giochi un ruolo cruciale.

La mediazione si compone di quattro fasi: 

  • Fase introduttiva
  • Sessione congiunta
  • Sessioni private
  • Sessione congiunta finale 

Durante la prima fase il mediatore si presenta attraverso un discorso introduttivo che ha l’obbiettivo di conquistare la fiducia delle parti, guadagnare il loro rispetto, entrare in empatia con loro, far sì che loro entrino in empatia con lui e che si affidino alla procedura.

In questo caso è importante che il mediatore conosca tre cose. La prima è che non comunichiamo solo attraverso la parola, ma anche attraverso il volume, il tono, la velocità e il ritmo della nostra voce (paraverbale), oltre che con i gesti, le posizioni che assumiamo, gli atteggiamenti, l’abbigliamento ecc. (comunicazione non verbale).

La seconda è che ogni processo comunicativo tra esseri umani possiede due dimensioni distinte, il contenuto (ciò che le parole che si dicono) e la relazione (quello che i parlanti lasciano intendere, sia a livello verbale che non, sulla qualità della relazione che intercorre tra loro).

La terza, citando sempre Watzlawick, è che come comunicatori veniamo prima visti, poi sentiti e infine compresi.

Quindi, data la delicatezza di questa fase, è importante che il mediatore mandi un messaggio congruente su tutti i piani citati prima.

Altrimenti, un messaggio non congruente, farà cadere il mediatore nella trappola della non autenticità, cioè quando le parole sul piano logico-verbale sono bene impostate, ma appaiono accompagnate da una comunicazione sul piano analogico (paraverbale e non verbale) che darà luogo ad un’interpretazione contrastante e annullerà ogni sforzo di creare empatia.

Terminata questa fase ha inizio quella della sessione congiunta dove il mediatore ascolta il punto di vista delle parti in presenza l’una dell’altra.

Il saper ascoltare è parte integrante della comunicazione ed è di vitale importanza in questa fase dove la carica emotiva è davvero alta, in quanto l’ascolto porta la parte a sentirsi riconosciuta ed accolta e questo permette di conquistare o riconquistare un migliore equilibrio nel rapporto con sé stessi e con l’altra parte.

È bene che il mediatore in questo momento faccia due cose:

La prima è ascoltare in silenzio il punto di vista delle parti, senza interrompere mai e rinviando al termine del racconto le domande, qualora si rendessero necessarie. Proprio per dare tempo al processo di riconoscimento sopracitato il tempo di espletarsi.

La seconda è quella di mostrarsi aperto ad accogliere non solo quanto detto, ma anche le parti come persone. Poiché: “l’ascolto è la medicina naturale più potente al mondo perché ha come risultato quello di far sentire l’altro accolto, accettato e non giudicato; solo così egli potrà darsi il permesso di riprendere le fila dei suoi problemi, di cercare un ordine e un senso dove, fino a quel momento aveva visto solo dolore e inadeguatezza”. (Raffaello Rossi)

Per riuscire ad essere accoglienti è necessario inoltre avere un rapporto sereno e consapevole con il tempo, in quanto la fretta di trarre conclusioni, di dire la propria, di arrivare alla soluzione e di cambiare discorso sono sempre fonti di disagio relazionale.

Durante questa fase si usano anche delle tecniche comunicative come la parafrasi e la riformulazione.

La prima ha lo scopo di riassumere sinteticamente l’esposizione della parte, per verificare la comprensione di quanto detto dalle parti e per eliminare la carica negativa del racconto, individuando i punti più importanti e riformulandoli in un linguaggio neutro teso alla verifica della comprensione di quanto esposto.

In questo modo si restituiscono all’interlocutore le informazioni ricevute, ripetendone il contenuto, ma non la forma.

La seconda ha lo scopo di riassumere in modo valorizzante e qualificato le affermazioni della parte e i punti che sono stati affrontati, convogliando l’attenzione sui reali interessi delle persone e non più sulle loro posizioni.

In questi casi è sempre importante che il mediatore non usi termini che facciano percepire il suo punto di vista, per non dare l’impressione di aver perso la sua imparzialità.

Durante la fase delle sessioni separate, invece, lo strumento comunicativo principalmente usato è quello delle domande.

Esse possono essere di vario tipo chiuse, aperte, circolari ecc., ma hanno un unico scopo, quello di essere efficaci. Devono stimolare un processo volto alla consapevolezza, alla ricerca e attuazione di soluzioni.

In questa fase infatti il mediatore lavora separatamente con le parti per individuare i reali interessi delle parti, scindendo le persone dai loro problemi, per giungere a generare opzioni negoziali.

Ed è in questo momento tramite le sue domande efficaci il mediatore si fa più o meno consciamente fautore del pensiero laterale.

La nostra mente funziona per schemi consolidati chiamati anche autostrade neuronali, che a volte, portano ad uno stallo mentale ed operativo, una sorta di loop, che non consente di uscire dal problema percepito.

Compito del pensiero laterale è quello di scardinare questi modelli e queste logiche che possono non consentire l’individuazione di una possibile soluzione, in quanto ostacolano il cambio di prospettiva sia sul problema sia sulla soluzione stessa, ciò che nella psicologia viene definito insight, ovvero illuminazione, intuizione.

Una volta generate le soluzioni negoziali le parti si riuniscono nuovamente in quella che viene denominata sessione congiunta finale. A questo punto Il mediatore riassume le posizioni delle parti, illustrando i punti d’accordo emersi nelle sessioni private. Se le parti concordano su una opzione negoziale, si procede a stilare il verbale di conciliazione, contenente i termini dell’accodo.


Dott.ssa Ilaria Iadanza
Life Coach specializzata in Coaching Evolutivo

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