Aspetti filosofici del principio di certezza del diritto

Il Principio della Certezza del diritto consiste nella possibilità di conoscere la valutazione concreta dei comportamenti umani operata dal diritto positivo,

implicando dunque la conoscibilità a priori delle norme giuridiche. Corollari di detto Principio sono quelli ulteriori di divisione dei poteri, legittimo affidamento, prevedibilità degli effetti ed irretroattività delle norme.

Lopez de Onate, afferma che la giustizia non possa che realizzarsi nella norma rigida e astratta, che deve essere certa. La giustizia consiste dunque nella specifica eticità del diritto. Il dogma della certezza assumeva così il carattere di stella polare per quelle teorie sull’interpretazione giuridica, comunemente dette cognitiviste. Esse si sviluppavano nel ventesimo secolo in contrapposizione con le correnti scettiche di matrice kelseniana, secondo cui la certezza del diritto altro non è che un’illusione.

L’istanza di certezza veniva tradotta dalla tradizione giuspositivistica in una concezione ordinamentale fortemente legalistica che affidava al giudice di legittimità il compito di assicurare l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge.

Ne fu tra i principali ispiratori, Calamandrei che individuava in detto compito, la massima espressione della funzione di controllo dello Stato.

Il dogma della certezza, così inteso però, era destinato a scalfirsi già nel corso del ventesimo secolo. Il diritto si è trasformato da sistema gerarchico a sistema etarchico: La giuridicità presenta degli spazi vuoti, lasciando all’interprete il gravoso compito di muoversi tra essi. In una società giuridicamente, sempre aperta a contesti possibili, l’unico diritto esistente è quello “artificiale”, privo di fondamenti ultimi.

Ulrich Beck descrive l’irrazionalità della seconda modernità, il superamento delle categorie classiche. Tutti questi fattori spingono gli individui e le strutture sistemiche verso un orizzonte di incertezza il cui protagonista assoluto è il rischio. Lo Stato che fondava la sua legittimazione sul discorso razionale si legittima ora nella sua capacità di rispondere alle nostre paure ed insicurezze.

Sulle orme di Kant, Veca afferma che incertezza e perplessità sono ingredienti preziosi nella formazione di un abito intellettuale perchè mantengono il senso dei limiti. Abbiamo dunque la responsabilità morale di continuare nell’impresa cooperativa mai finita di individuare criticamente ciò che consideriamo verità e giustizia e di comunicarlo agli altri.

L’incertezza può dunque essere occasione di possibilità, nuovo inizio. Il cosmopolitismo normativo è il medium comunicativo non voluto, non intenzionale, che spinge alla ricerca di ragioni di condivisione. E’ la diversità che genera il “Noi”.

Intendere l’incertezza come possibilità non vuol dire addivenire ad una posizione scettica e negare così in radice che il dogma della certezza continui a svolgere un ruolo essenziale nel nostro sistema giuridico. Significa piuttosto abbandonare una visione oggettualistica ed incontrare la realtà effettuale delle situazioni giuridiche soggettive portatrici di autonome istanze di giustizia materiale.

In questo contesto un ruolo sempre più decisivo diviene quello del giurista-interprete. Grossi pone l’interpretazione come ultimo momento del processo formativo della norma, fonte duttile, fonte dalla intensa storicità. Il giurista è inevitabilmente oggi prima di tutto filosofo del diritto: recupera dal basso la fattualità e la dimensione critica delle fattispecie. Se dunque si vuole conservare viva l’aspettativa di certezza, nel contesto applicativo bisogna guardare con la convinzione del non confinamento della certezza al solo momento produttivo della regola. In questo intreccio indissolubile tra teoria e prassi, il momento di garanzia e controllo di regolarità formale delle premesse è dato dall’ Argomentazione.

L’argomentazione giuridica è la mediazione linguistica che consente il passaggio dal processo mentale del giudice che impegna la sua soggettività e non può mai dirsi scevro di discrezionalità, al contenuto materiale del dictumgiudiziale. E’ il controllo strutturale che da conto della ragionevolezza delle premesse assunte ovvero della ricostruzione del fatto in tutte le sue componenti di contesto e gravità. E’ la giustificazione esterna di cui il giudice è tenuto a dar conto sotto il profilo della congruenza narrativa. Non trattasi però di uno strumento meramente tecnico ed asettico. Il compito del giurista è di portare ad emersione quella parte della dimensione giuridica che è indispensabile di volta in volta per rendere compiute le disposizioni ma anche di dare voce a quella parte del diritto (vastissima) che non è espressa da una produzione normativa formalizzata.

Oggi dunque, nell’era del diritto globale e multistratificato sarebbe un’illusione oltre che una contraddizione in termini continuare a parlare di certezza del diritto. Oggi la vera anima del Principio in questione è rappresentato dall’utilizzo di unmetodo argomentativo che è senz’ altro fondato sul rispetto del sillogismo aristotelico, ma non può perdere di vista la capacità di ascolto delle esigenze ordinamentali della società. Un metodo capace di fare i conti con quella che Grossi chiama la “carnalità del diritto”.

Si può dunque concludere che nell’etàmoderna soltanto attraverso l’opera vivifica ed in qualche modo salvifica, dell’ermeneutica e dell’argomentazione giuridica ci si avvicina a quel tanto sospirato traguardo che è rappresentato dalla Giustizia Sostanziale.

   Dott.ssa Stefania Graziano

è laureata in giurisprudenza presso la Federico II di Napoli e specializzanda in Avvocatura Internazionale.
Ha conseguito un primo master come Consulente di Relazioni Internazionali ed un secondo in Export Management.
E’ appassionata di diritto e tutela della privacy.
E’ Mediatore e Arbitro in materia civile e commerciale.
Si appresta a concludere un master in Arbitrato del Commercio Internazionale.

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