Una riflessione sullo stato attuale del sistema giustizia

L’esercizio della giurisdizione soffre, nel nostro Paese, di svariate criticità che l’emergenza sanitaria da Covid-19 ha contribuito ad aggravare.

Innanzitutto occorre soffermarsi sui tempi lunghi dei processi, basti pensare che nel civile servono 527 giorni per chiudere un processo contro i 233 di media dell'Ue e che non va meglio nel penale con 361 giorni a fronte di 144 nel resto d'Europa, lentezze ed inefficienze che secondo lo studio Cer-Eures, ci costano 2,5 punti Pil, pari a circa 40 miliardi di euro.

A questo bisogna aggiungere che gli Uffici Giudiziari, molto spesso, sono ubicati in edifici nati per altri usi, come caserme (nel caso dell’Ufficio del Giudice di Pace di Napoli), uffici comunali (nel caso dell’Ufficio del Giudice di Pace di Marano e di Casoria), con grave disagio per l’utenza che è costretta ad affrontare problemi di viabilità e parcheggio per potervi accedere, nonché a dovere aspettare il proprio turno, prima di affrontare la discussione della causa, in aule e corridoi spesso angusti.

Inoltre la maggior parte degli Uffici giudiziari presenta una grave carenza di organico, sia in termini di personale giudiziario che amministrativo, che si traduce in un aggravio di lavoro sia per i Giudici che per i cancellieri.

Tanto vale anche per il Tribunale di Napoli Nord, che pur avendo un bacino di utenza di oltre un milione di abitanti, suddiviso in 38 Comuni, dispone di soli 75 magistrati rispetto agli 86 previsti e 145 unità di personale amministrativo su una pianta organica di 151.

Altrettanto preoccupante è la circostanza che il Tribunale di Napoli Nord, a distanza di otto anni dalla sua nascita, non dispone di un’aula bunker, per cui i processi con un grande numero di imputati, devono essere trattati presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, con grande dispendio economico di uomini e mezzi.

La situazione è anche più grave presso gli Uffici del Giudice di Pace, perché non tutti, come l’Ufficio di Napoli Nord, di Casoria, di Frattamaggiore, di Afragola e di Marano, dipendono dal Ministero della Giustizia, bensì sono gestiti dai rispettivi Comuni, che non avendo le capacità finanziarie, non sono in grado di fornire le giuste risorse in termini di personale, con la conseguenza che, spesso, si è paventata una loro possibile chiusura, che finirebbe per gravare pesantemente sull’Ufficio di Napoli Nord, considerato che il solo Ufficio di Marano serve un territorio densamente popolato e ad elevato tasso crimini commessi.

Pertanto l’istituto del Giudice di Pace, nato nell’intento del legislatore, per fornire una giustizia di prossimità, che fosse più vicina al cittadino, viene caricato di nuove competenze per alleggerire il contenzioso dei Tribunali, ma, al tempo stesso, non dotato delle giuste risorse economiche.

Le svariate problematicità, legate anche al mancato varo nel tempo di una riforma del processo civile che mirasse ad una semplificazione dei diversi riti processuali esistenti, nonché di una organica riforma del processo penale, che guardasse non tanto ad introdurre, come tuttavia è stato fatto, nuove figure di reato e pene più severe, ma piuttosto un processo più snello e veloce, sono aumentate per la pandemia in corso.

A tale ultimo proposito occorre dire che, dopo una fase iniziale gestita attraverso la decretazione d’urgenza, abbiamo assistito ad una proliferazione di Protocolli, strumento attraverso i quali si è affidato ai dirigenti degli Uffici giudiziari la disciplina tanto dell’accesso ai predetti Uffici e cancellerie, quanto della calendarizzazione delle udienze, che in mancanza di un Protocollo valido per l’intero territorio nazionale, hanno finito per proliferare in numero superiore a duecento in tutta Italia, con l’ulteriore impegno per gli Avvocati, che svolgono il proprio lavoro presso diversi Tribunali, di doverne studiare ogni volta uno diverso e per i cittadini di vedere ingiustamente compresso il proprio diritto di difesa.

A ciò si aggiunge il problema della scarsa digitalizzazione del processo sia civile, soprattutto per quanto riguarda le cancellerie e gli uffici Unep, che penale dove l’informatizzazione versa in una fase ben più arretrata, informatizzazione del tutto assente nel processo presso il Giudice di Pace, cui si accompagna, spesso, un cattivo funzionamento delle piattaforme, che complica il deposito degli atti come la consultazione dei fascicoli.

Questa situazione induce, dunque, inevitabilmente, ad una revisione dell’impiego delle risorse provenienti dal Recovery Fund europeo, rispetto alla bozza predisposta dal precedente Esecutivo, con riferimento ai costi della giustizia. La bozza di piano, pur cogliendo le necessità del settore, le ha affrontate in modo inadeguato sia sotto il profilo economico, prevedendo di stanziare in favore della giustizia, somme pari a 2 miliardi di euro, cioè l’1% delle somme complessivamente destinate dall’Europa per la ripresa dell’Italia, sia sotto il profilo strutturale, concependo misure che mirano più ad un risparmio della spesa pubblica, che a migliorare l’efficienza del Paese.

Questi i motivi per cui è necessaria una visione complessiva e più critica del comparto giustizia, non solo per dare piena attuazione ai valori costituzionali di uguaglianza e razionalità nell’esercizio della funzione giurisdizionale, ma anche per restituire al nostro Paese la capacità di competere con le Nazioni europee più avanzate.

 

 Avv. Antonella di Ronza

È Avvocato presso il Foro di Napoli Nord e Vicepresidente della locale sezione Aiga, Associazione Italiana Giovani Avvocati.

Fa parte del Dipartimento di Diritto e Procedura civile della Fondazione Aiga "Tommaso Bucciarelli" e della Commissione Cultura presso il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Napoli Nord.
Da sempre sostiene il dialogo e il confronto tra le persone nelle esperienze maturate nell'ambito dei molteplici impegni associativi specie quelli a servizio della classe forense.

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